Sappiamo tutti quanto la percezione dell’arte sia personale. Nella storia la maggior parte delle opere più famose sono il frutto di un incarico dato da terzi, sebbene racchiudano sempre un po’ di anima dell’artista. Sono opere rilevanti perché riflettono la società storica con le sue paure, superstizioni, tradizioni ed estetica. Cosa dire delle opere in cui l’artista vuole riflettere primariamente la propria essenza? Sicuramente non saranno comprensibili del tutto allo spettatore, forse riveleranno ombre nascoste, ma se non rendono un concetto che riguardi l’universalità, possono essere definite davvero arte? E se lo sono, in una società narcisistica come la nostra, possiamo evitare che queste cadano nell’oblio? Che l’anima dell’artista non sia stata lì imprigionata invano, ma che possa anch’essa insegnarci qualcosa, forse addirittura comprenderci? In un mondo in cui l’esplorazione dell’altro è limitata all’aspetto superficiale, non facciamoci ingannare dall’aspetto esteriore dell’arte. Le sue meraviglie racchiudono sempre significati profondi, lo percepiamo solo guardandole. Se così non fosse, non sceglieremmo di contemplare una determinata opera a lungo, ma una varrebbe l’altra. La nostra sensibilità invece sceglie quale prediligere, toccando delicatamente il suo significato intrinseco, ma senza aver mai bisogno di strapparlo. Infatti, il valore nascosto nell’opera può comprenderci, completare un nostro stato d’animo, ma non potrà mai caratterizzare noi stessi totalmente nella nostra unicità. Solo una nostra opera potrebbe, ma non tutti abbiamo il dono di tradurre in proiezione esterna la nostra interiorità, o il coraggio di renderci vulnerabili facendoci sfiorare dall’altro. Allora, ecco che una stessa opera ha per noi un valore diverso dalla società. Noi la valutiamo in base all’emozione, loro in questo mondo contemporaneo spesso solo in base al prezzo e all’autore. Preserviamo il nostro spirito critico ed essenziale a discapito di opere sterili, mantenute in vita solo da valori materiali e non intellettuali ed emotivi.
Tag: valore
Il vero valore dell’arte
Siamo così presi dallo studiare il passato che spesso ci dimentichiamo di capire il presente. In aula, se siamo fortunati, ci vengono illustrate tutte le correnti artistiche dalle pitture rupestri fino più o meno ai movimenti del ‘900 o poco più. È grazie allo studio del loro contesto e anche alla loro bellezza che possiamo comprenderne il valore, sentirle un po’ nostre, come affetti personali vulnerabili e saggi, che hanno superato tante insidie, perfino le due guerre mondiali. Sono le loro storie e le emozioni che suscitano a creare questo senso di appartenenza e una confidenza tale da farci esclamare in un museo, indicandole, il loro nome o quello dell’artista, accompagnati dallo stesso piacere di un amico ritrovato a distanza di tempo. È vero, alcune opere colpiscono più di altre, ma a lungo ho provato a spiegarmi perché invece le opere d’arte contemporanea siano state le uniche a lasciarmi indifferente, priva di curiosità. Eppure, necessariamente devono esserci sviluppi, innovazione, altrimenti si vivrebbe nel passato e la riproduzione attuale di opere precedenti non avrebbe senso, poiché, in quanto decontestualizzate, risulterebbero delle brutte copie, mere imitazioni.
Dopo qualche riflessione, ho ritenuto che forse fossi io a non capirle o a non volerle capire: esteticamente rispecchiano molto, ma molto raramente i miei gusti e sembrano opere che chiunque potrebbe riprodurre, messe lì solo per creare scandalo, sentirsi trasgressivi e innovatori, senza arricchire lo spirito dello spettatore. Si tratta di opere non comprensibili a primo impatto, forse solo intuitivamente dopo qualche ragionamento spesso aiutato dal titolo. Il titolo ci fa vedere ciò che sembra non esserci, ci porta da soli a giustificare l’opera. Mi sembra un tratto distintivo di questo periodo artistico, soprattutto per noi che veniamo da una lunga tradizione iconografica, in cui era fondamentale che l’arte fosse comprensibile subito a tutti, usata per educare e creare meraviglia, non disgusto. Dunque, ho provato ad informarmi, a fare ricerche, a vedere anche io ciò che non c’era. Ecco la chiave: l’arte contemporanea è più nel concetto che nella materialità. Necessita di spiegazioni “filosofiche” e spesso è solo ideata dall’artista, che si avvale di aiutanti (ma questo è accaduto anche per importanti opere antiche).
Credo che la mia valutazione negativa sia dovuta ad una sorta d’istinto, per cui nell’opera contemporanea non vedo arte, non mi convincono i pensieri filosofici (che non trovo particolarmente innovativi o rivelatori), ma percepisco solo che si tratti di un’opera costosa, puramente materiale, a cui sia stato aggiunto un significato per poterla definire “arte”. Con questo non intendo che sia dovuto all’artista in sé, ma piuttosto all’ambiente in cui è costretto ad operare, in cui raramente i soldi non sono il motivo principale per cui ci si occupa d’arte; in cui spesso viene richiesto all’artista di operare in un certo modo, preoccupandosi del guadagno e non del suo talento.
Molte opere vengono acquistate non perché piacciano, ma perché, essendo state pagate a peso d’oro, elevano lo status sociale e sono un investimento. Sembrerebbe terminata l’epoca del valore spirituale ed estetico dell’opera, in cui la produzione era determinata da scopi comuni, estesi al grande pubblico, in cui quando si voleva mostrare il proprio status non si ricadeva in una triste mercificazione dell’arte finché questa non cada nell’oblio, poiché ritenuta solo di valore economico.
Ovviamente con questo articolo non intendo fare di tutta l’erba un fascio: ognuno ha i suoi gusti in fatto di arte e io sono la prima ad amare De Chirico, Dalì e Klimt(?). Piuttosto vorrei far ragionare su quanto il valore economico possa intaccare quello artistico, quanto la genuinità delle opere possa essere ostacolata da questo. È bellissimo che ognuno abbia il proprio modo di esprimersi: significa regalare anche un po’ di sé stessi alla società e ciò non può avere prezzo. Infatti, tutte queste opere potrebbero ricoprire un ruolo importante per la nostra esistenza e l’esigenza di comprendere noi e il mondo, soprattutto se ammirate dopo averle comprese ed analizzate con cognizione e per curiosità, non per giustificare il loro costo.