Montecassino: un affaccio sul paradiso

La sua aura solitaria colpisce già da molto lontano. Svetta sempre tra le pianure e le case, su quel monte ormai tondeggiante, apparentemente irraggiungibile dal peso della materia. La sua insita spiritualità costituisce una tenera certezza, ispira visioni di sopraelevazione, sembra sospesa tra cielo e terra. L’abbazia non è un semplice luogo di culto: qui risiede una meraviglia del tutto inaspettata. Non vi sono tracce di triste solitudine o ammonimenti per la vita dopo la morte.

Le stesse sensazioni provate da lontano si rafforzano una volta raggiunta la vetta del monte. Immediatamente ci si sente richiamati da quella chiesa, tutt’altro che fredda, con i suoi splendidi marmi colorati, gli angeli e il magnifico organo. Entrando e sedendo, ascoltando il coro, si cade in una tale estasi da sentire davvero l’anima sfiorata da Dio, o da qualunque entità crediamo possa darci la vera felicità. L’esperienza non termina qui, ma la seconda parte non è per tutti. Per coglierla è necessario saper conservare il sentimento. Infatti, uscendo dalla chiesa, scendendo le scalinate fino all’orizzonte, ci si accorgerà di non essere più circondati da mura e tetti che occultano la vista. Si vedranno solo tre bellissimi, perfetti e lucenti archi. Sotto di essi una balconata, e oltre solo un’infinita distesa di nuvole. In quel momento tutto scompare, si sente solo l’armonia del mondo, si entra dentro il mistero, è difficile volerne uscire. La vastità del creato si mostra tutta in una volta, si vorrebbe continuare a salire, nell’illusione di trovarsi gia più in alto di quanto si creda. È merito di quel bianco candido, tralucente,  che si entra in contatto con la purezza, con una propria essenza tutta esterna, perché tutto ciò che in quel momento è al di fuori dei propri sensi estasiati viene messo da parte, acquista un significato nei rapporti causa-effetto della propria vita. Ci si sente coscienti e responsabili delle proprie azioni, perché sarebbe meraviglioso vivere sempre così, circondati da persone che sentono lo stesso, senza dover avere necessariamente davanti una vista del Paradiso.

Per questo Montecassino è più di un semplice edificio religioso: non occorre essere credenti per provare questa appartenenza all’eternità che ci può regalare. È un luogo innanzitutto spirituale, sembra presente dall’era dei tempi e quando viene nuovamente osservata dopo averla visitata anche una sola volta, la sua contemplazione non può non accompagnarsi ad una gioiosa nostalgia, che ci sussurra che non saremo mai vuoti: lei sarà sempre lì ad accoglierci.

Gli aborigeni percorrono la via dei sogni

È risaputo che nella storia umana le popolazioni indigene primitive si sono ritrovate svantaggiate, poiché impreparate all’arrivo dei coloni europei. È quanto è successo anche in Australia: terra inizialmente sottovalutata, considerata troppo inospitale, appena ci si è accorti delle miniere d’oro e di qualche regione più fertile, gli europei (in particolare gli inglesi) non hanno esitato a distruggere la splendida civiltà locale, per poi provare a conoscerla e preservarla quando ormai era troppo tardi. Nel caso degli aborigeni australiani lo sfruttamento del territorio e il suo stravolgimento hanno avuto conseguenze ben più gravi del semplice ritrovarsi relegati nelle aree più ostili e aride del Australia. Infatti, vi siete mai chiesti come facciano ad ambientarsi in un infinito deserto rosso, in cui tutto a prima vista a noi turisti sembra tutto uguale? Ebbene, la soluzione è originale e meravigliosa al tempo stesso. Gli aborigeni hanno una suddivisione in clan e tribù molto complessa (clicca qui per saperne di più), ognuna delle quali occupa una certa area e di solito ha una sua lingua. Per ritrovarsi, ognuna di queste famiglie canta una canzone. Una canzone atavica, trasmessa da anziani a discendenti, che indirizza l’uomo attraverso una successione di punti di riferimento naturali, presenti da secoli. Si parla di via dei sogni, una via ereditaria, un testo poetico sia nella forma che nella tradizione che rappresenta. Si cantano rocce, sassi, alberi, piante, pozzi d’acqua, orme di animali, monti… ed è così che i cambiamenti artificiali distruggono a poco a poco il loro mondo, frantumano il creato decantato dalla notte dei tempi, cancellano la memoria degli avi, i giovani si ritrovano con rituali indegnamente interrotti  e l’aborigeno è trascinato nel Tempo del Sogno Alcoolico, dominato dai demoni che ricongiungono le lacune nelle canzoni, che si riflettono inevitabilmente nell’anima.