UN BUSTO DI… SANGUE

Avete letto bene. Marc Quinn non solo ha usato del sangue, ma proprio il suo, raccolto nell’arco di cinque anni. Al termine di questo periodo realizza il suo busto usandone circa 4,5 litri, che vengono versati in uno stampo di silicone. Esistono più versioni dell’opera, poiché a partire dal 1991 fino ad ancora oggi, ne realizza uno ogni cinque anni. La sequenza di busti mostra il passare del tempo e l’invecchiamento che ne deriva per l’artista. Inoltre, ha una spiegazione simbolica: fu realizzata per la prima volta quando Quinn era dipendente dall’alcol e l’intenso bisogno di connessione a qualcosa per sopravvivere è rappresentato dal sangue stesso, elemento vitale che per rimanere solido necessita di elettricità che lo mantenga congelato. Altrimenti la scultura si scioglierebbe e non rimarrebbe più niente.

L’autolesionismo come arte

Tra gli artisti di body art la francese Gina Pane si distingue per le sue opere contenenti autolesionismo. In particolare Psyche, una performance di 27 minuti e 32 secondi, di cui vi è una serie di fotografie, in cui l’artista si pratica con le lamette dei tagli a forma di croce intorno all’ombelico e appena sotto le sopracciglia. Nelle foto è ben visibile il sangue, simbolo di dolore, l’esperienza umana maggiormente percepibile secondo Pane, resa in maniera molto diretta tramite queste ferite, che lasceranno cicatrici, definite dall’arista come la “memoria del corpo”. Inoltre, per rendere l’esperienza più intensamente, Pane crea un contrasto indossando vestiti bianchi. L’artista afferma che “il corpo è occupato e formato dalla società” per questo bisogna scriverci sopra e contrastare il ruolo passivo della donna in una società maschilista.