Le porte viventi del museo

È questa l’intenzione con cui nasce l’opera di Marina Abramovic, intitolata Imponderabilia. Consiste in due persone nude, un uomo e una donna in carne ed ossa, posti uno di fronte all’altra a qualche decina di centimetri. Così il visitatore è obbligato a passarvi in mezzo lateralmente, scegliendo se dando la schiena all’uomo o alla donna. Questa condotta è determinata da un elemento imponderabile (ossia la cui natura ed entità sfuggono ad una valutazione precisa), richiamato dal titolo. Questa performance fu attuata per la prima volta nel 1977 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna e durò solo 90 minuti, poiché interrotta dalla polizia per oscenità. Venne riproposta nel 2010 al MoMA di New York, questa volta senza suscitare scandalo, ma anzi i due soggetti subirono molestie.

Gli aborigeni percorrono la via dei sogni

È risaputo che nella storia umana le popolazioni indigene primitive si sono ritrovate svantaggiate, poiché impreparate all’arrivo dei coloni europei. È quanto è successo anche in Australia: terra inizialmente sottovalutata, considerata troppo inospitale, appena ci si è accorti delle miniere d’oro e di qualche regione più fertile, gli europei (in particolare gli inglesi) non hanno esitato a distruggere la splendida civiltà locale, per poi provare a conoscerla e preservarla quando ormai era troppo tardi. Nel caso degli aborigeni australiani lo sfruttamento del territorio e il suo stravolgimento hanno avuto conseguenze ben più gravi del semplice ritrovarsi relegati nelle aree più ostili e aride del Australia. Infatti, vi siete mai chiesti come facciano ad ambientarsi in un infinito deserto rosso, in cui tutto a prima vista a noi turisti sembra tutto uguale? Ebbene, la soluzione è originale e meravigliosa al tempo stesso. Gli aborigeni hanno una suddivisione in clan e tribù molto complessa (clicca qui per saperne di più), ognuna delle quali occupa una certa area e di solito ha una sua lingua. Per ritrovarsi, ognuna di queste famiglie canta una canzone. Una canzone atavica, trasmessa da anziani a discendenti, che indirizza l’uomo attraverso una successione di punti di riferimento naturali, presenti da secoli. Si parla di via dei sogni, una via ereditaria, un testo poetico sia nella forma che nella tradizione che rappresenta. Si cantano rocce, sassi, alberi, piante, pozzi d’acqua, orme di animali, monti… ed è così che i cambiamenti artificiali distruggono a poco a poco il loro mondo, frantumano il creato decantato dalla notte dei tempi, cancellano la memoria degli avi, i giovani si ritrovano con rituali indegnamente interrotti  e l’aborigeno è trascinato nel Tempo del Sogno Alcoolico, dominato dai demoni che ricongiungono le lacune nelle canzoni, che si riflettono inevitabilmente nell’anima.

L’Annunciazione come poetica dei sentimenti

Nonostante sia un episodio tradizionale, l’Annunciazione di Leonardo ha un fascino tutto particolare. Innanzitutto, siamo immersi nella natura: una natura rigogliosa, che ricorda quella primaverile, con il prato cosparso di fiori e gli alberi verdeggianti.

A destra Maria e a sinistra l’Angelo. Appaiono fisicamente distanti (il quadro è lungo due metri), ma sorprendentemente vicini emotivamente. Basta uno sguardo per percepire sia l’incontro che il successivo dialogo. Eppure sono due figure ferme, imprigionate nella tela. Come è possibile? La risposta va ricercata nella gestualità dei soggetti, è proprio questo attento studio che ci permette di parlare di “poetica dei sentimenti” di Leonardo da Vinci. Osservando la Vergine, l’attenzione cade immediatamente sulle sue mani: una intenta a sfogliare le pagine di un libro, l’altra alzata, rivelandoci lo stupore nel vedere un angelo appena atterrato nel suo giardino. A raccontarcelo sono le sue ali: Leonardo studiò a lungo il volo degli uccelli, ed è sorprendente come una figura vestita pesantemente possa sembrare così leggera. La mano dell’Angelo è intenta in una benedizione e i suoi occhi sono rivolti a Maria, il cui volto, però, non è stupito come il suo corpo, ma rivela un’attenta interlocutrice. 

Tutti questi elementi vengono definiti da Leonardo come “moti dell’animo”. Si tratta del carattere e delle sue espressioni fisiche e facciali insieme, che riflettono anche i sentimenti e i pensieri del soggetto, rivelati dai più sottili particolari. Ne risulta un’indagine psicologica, già esistente fin dai tempi antichi, in cui però troviamo macrocategorie di soggetti di cui si evidenzia un particolare tratto caratteriale. Nel caso di Leonardo, il soggetto assomiglia ad altri, ma è sempre unico nel suo genere, esattamente come questo Angelo e Maria, che per questo si distinguono dalle altre annunciazioni.

In realtà, un altro elemento concorre alla distinzione di questo dipinto: è l’ambientazione. L’episodio infatti ha luogo all’aperto, non più dentro la modesta casa di Maria. Inoltre, è un giardino molto curato, da persone facoltose, come vediamo anche con il leggio e il mobile bianco finemente decorati e antichi. La figura di Maria non stona con tale lusso: anche lei sembra aristocratica, con le sue belle vesti, l’acconciatura e la lettura come passatempo. Questa scelta stilistica riflette il tempo in cui il quadro fu realizzato, è l’attualizzazione del sacro, ancora fortemente sentito dopo 1475 anni.

Per quel che concerne il presente, penso che sia il paesaggio, in particolare il cielo e l’orizzonte a farci sentire coinvolti nel dipinto. A differenza dell’architettura e dei costumi, una simile bellezza naturale non ha tempo. Ancora oggi, lontani dal caos cittadino, possiamo trovare luoghi dall’orizzonte così aperto, pronto ad abbracciare noi e il nostro animo con il suo senso di pace eterno.

Una vista su emozioni sublimi

Siamo tutti di passaggio in questo mondo. Nasciamo senza uno scopo, viviamo senza comprendere il grande mistero della vita. Abbiamo infinite possibilità, ma possiamo scegliere fino ad un certo punto: il mondo è imprevedibile, le azioni altrui talvolta inspiegabili e ci ritroviamo incastrati in una serie di meccanismi fatti di cause ed effetti, nel continuo sforzo o desiderio di cambiare qualcosa della nostra esistenza, all’apparenza infinita, ma che sappiamo, più o meno consapevolmente, con una data di scadenza. Una serie di concetti complessi, su cui discutere a lungo, per cui ognuno ha la sua visione corredata da migliaia di sfumature. Forse saperle mettere insieme è alla base della grandezza del “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich, un’opera che precede il suo titolo e il nome dell’artista, in cui difficilmente non ci si può rispecchiare. Osserviamo questo uomo di spalle dall’identità sconosciuta e ci chiediamo perché sia da solo e così in alto su una vetta rocciosa. In realtà già ci troviamo tutti lì, ogni giorno, specialmente quando ci fermiamo a riflettere. L’uomo rappresenta l’umanità intera e la nebbia la vita ancora da scoprire e priva di istruzioni certe. Indica la possibilità di scelta e la responsabilità che ne deriva, i traguardi che ci prefissiamo e che forse non raggiungeremo nel modo in cui vogliamo e i piani che andranno sicuramente in fumo. Indica la confusione, ma anche la grandezza dell’animo umano, qui eroico nell’affrontare la vita, e che può scegliere di indagare in profondità, di avere una volontà propria. Un singolo individuo indica anche che solo noi siamo artefici della nostra vita e siamo assolutamente unici: infatti le vie sono infinite, ma bisogna stare attenti: siamo ospiti della natura, ed è stata lei a plasmarci così come siamo. Adesso tocca a noi comprendere quale ruolo ricoprire, ma non scordiamoci di ammirare e vivere questa visione sublime della nebbia sull’orizzonte senza fine.