Arte: espressione di sé o della società?

Sappiamo tutti quanto la percezione dell’arte sia personale. Nella storia la maggior parte delle opere più famose sono il frutto di un incarico dato da terzi, sebbene racchiudano sempre un po’ di anima dell’artista. Sono opere rilevanti perché riflettono la società storica con le sue paure, superstizioni, tradizioni ed estetica. Cosa dire delle opere in cui l’artista vuole riflettere primariamente la propria essenza? Sicuramente non saranno comprensibili del tutto allo spettatore, forse riveleranno ombre nascoste, ma se non rendono un concetto che riguardi l’universalità, possono essere definite davvero arte? E se lo sono, in una società narcisistica come la nostra, possiamo evitare che queste cadano nell’oblio? Che l’anima dell’artista non sia stata lì imprigionata invano, ma che possa anch’essa insegnarci qualcosa, forse addirittura comprenderci? In un mondo in cui l’esplorazione dell’altro è limitata all’aspetto superficiale, non facciamoci ingannare dall’aspetto esteriore dell’arte. Le sue meraviglie racchiudono sempre significati profondi, lo percepiamo solo guardandole. Se così non fosse, non sceglieremmo di contemplare una determinata opera a lungo, ma una varrebbe l’altra. La nostra sensibilità invece sceglie quale prediligere, toccando delicatamente il suo significato intrinseco, ma senza aver mai bisogno di strapparlo. Infatti, il valore nascosto nell’opera può comprenderci, completare un nostro stato d’animo, ma non potrà mai caratterizzare noi stessi totalmente nella nostra unicità. Solo una nostra opera potrebbe, ma non tutti abbiamo il dono di tradurre in proiezione esterna la nostra interiorità, o il coraggio di renderci vulnerabili facendoci sfiorare dall’altro. Allora, ecco che una stessa opera ha per noi un valore diverso dalla società. Noi la valutiamo in base all’emozione, loro in questo mondo contemporaneo spesso solo in base al prezzo e all’autore. Preserviamo il nostro spirito critico ed essenziale a discapito di opere sterili, mantenute in vita solo da valori materiali e non intellettuali ed emotivi.

Montecassino: un affaccio sul paradiso

La sua aura solitaria colpisce già da molto lontano. Svetta sempre tra le pianure e le case, su quel monte ormai tondeggiante, apparentemente irraggiungibile dal peso della materia. La sua insita spiritualità costituisce una tenera certezza, ispira visioni di sopraelevazione, sembra sospesa tra cielo e terra. L’abbazia non è un semplice luogo di culto: qui risiede una meraviglia del tutto inaspettata. Non vi sono tracce di triste solitudine o ammonimenti per la vita dopo la morte.

Le stesse sensazioni provate da lontano si rafforzano una volta raggiunta la vetta del monte. Immediatamente ci si sente richiamati da quella chiesa, tutt’altro che fredda, con i suoi splendidi marmi colorati, gli angeli e il magnifico organo. Entrando e sedendo, ascoltando il coro, si cade in una tale estasi da sentire davvero l’anima sfiorata da Dio, o da qualunque entità crediamo possa darci la vera felicità. L’esperienza non termina qui, ma la seconda parte non è per tutti. Per coglierla è necessario saper conservare il sentimento. Infatti, uscendo dalla chiesa, scendendo le scalinate fino all’orizzonte, ci si accorgerà di non essere più circondati da mura e tetti che occultano la vista. Si vedranno solo tre bellissimi, perfetti e lucenti archi. Sotto di essi una balconata, e oltre solo un’infinita distesa di nuvole. In quel momento tutto scompare, si sente solo l’armonia del mondo, si entra dentro il mistero, è difficile volerne uscire. La vastità del creato si mostra tutta in una volta, si vorrebbe continuare a salire, nell’illusione di trovarsi gia più in alto di quanto si creda. È merito di quel bianco candido, tralucente,  che si entra in contatto con la purezza, con una propria essenza tutta esterna, perché tutto ciò che in quel momento è al di fuori dei propri sensi estasiati viene messo da parte, acquista un significato nei rapporti causa-effetto della propria vita. Ci si sente coscienti e responsabili delle proprie azioni, perché sarebbe meraviglioso vivere sempre così, circondati da persone che sentono lo stesso, senza dover avere necessariamente davanti una vista del Paradiso.

Per questo Montecassino è più di un semplice edificio religioso: non occorre essere credenti per provare questa appartenenza all’eternità che ci può regalare. È un luogo innanzitutto spirituale, sembra presente dall’era dei tempi e quando viene nuovamente osservata dopo averla visitata anche una sola volta, la sua contemplazione non può non accompagnarsi ad una gioiosa nostalgia, che ci sussurra che non saremo mai vuoti: lei sarà sempre lì ad accoglierci.