La grande solitudine della quarantena.

Da quanto osservo, il peggior flagello di questa quarantena è la solitudine. Una solitudine forzata, insopportabile e soprattutto indagatrice. Improvvisamente intrappolati in sé stessi, non serve a nulla tentare di flettere quelle sbarre: solo la mente le può alzare, ma non dopo aver fatto i conti con la coscienza e la frustrazione. Poi, però, esistono anche le persone come me: quelle che stanno benissimo da sole, che non hanno scheletri nell’armadio, perché ogni volta che ne entra uno lo riducono in polvere. Il mio problema è l’inverso: sto così tanto bene con me stessa, da avere alti e bassi solo nella noia. Mi spiego meglio. Praticamente tutti i miei interessi primari sono di tipo individuale. Non necessito della compagnia e anche non facendo nulla di particolare sono in grado di sintonizzarmi con il mio esterno, di provare sentimenti di elevata spensieratezza e gioia anche solo guardando il sole riflesso dall’arancione caldo del palazzo di fronte al mio. Purtroppo queste emozioni sono manifeste quanto vogliono loro e, anche se fosse possibile controllarle, mantenerle a lungo annullerebbe la bellezza che ne deriva, consistente nell’improvviso e nella loro relativa cortezza. Sicché sono seguiti da diverse ore, se non giornate di gioia, alla qual fine rimane un vuoto pieno, ossia una piattezza positiva, ma priva di qualsiasi eccitazione. È esattamente a questo punto che desidero uscire dalla solitudine: non per fuggire ai miei problemi o condividerli; ma per ricevere nuovi stimoli, che possano tramutarsi in piacevole compagnia e suspense o in una nuova consapevolezza circa la mia persona e la fortuna di avere almeno me stessa come certezza in questo mondo che distrugge le aspettative.